Prose

Io e te
(1) Il viaggio
Le mie stanze
(41) Assenze d'esistenza
Raccolta: Le mie stanze
27 giugno
Chi se lo aspettava che il cellulare si sarebbe illuminato all’improvviso lampeggiando quella scritta: “chiamata privata”, erano mesi che aspettavo di vederla, di sentire la tua voce in cerca di me.

- Sono fuori, rientro domani. Vado a ritirare un premio. -

Buon compleanno caro… doppiamente auguri. Ti amo.

- Anch’io. Ti bacio. -

Chiuso il telefono ho dimenticato ogni cosa del mondo… mi sono ricordata solo della tua lontananza, della tua assenza.

Dovevo andarci a quella presentazione, non per forza, ma per curiosità.
Ciclicamente ho bisogno di partecipare agli eventi della vita, quelli che so già essere operazioni commerciali e non altro.
Devo farlo per rafforzarmi nelle convinzioni raggiunte, per capacitarmi che ancora nulla è cambiato nel campo dell’editoria.
Lo so che tutti ci sentiamo unici depositari del talento supremo, tutti scrittori incompresi, poeti bistrattati, artisti d’avanguardia estromessi dal circuito della conoscenza, ma io sono ignorante e me ne fotto di vivere d’illusioni.
D’altronde, quale altra alternativa ho?
E sai una cosa?
Mi fa bene all’anima andarci.
Li ascolto con interesse gli intelletti autorevoli, quelli dalle centomila citazioni, che vivono per leggere e criticare, per insegnare come si scrive, come si pensa, come si deve percepire e comunicare la poesia.
Certe volte mi sono anche simpatici, prima che parlino, poi comincio a non condividere le denigrazioni, le esternazioni delle preferenze, della serie: non mi piace la narrativa, amo i racconti, ma non hanno mercato, la gente non li compra, oppure, non sopporto i diari, gli autori che scrivono le loro esperienze personali, che producono libri che parlano della propria vita… ma a chi può interessare la tua vita?
Ed ancora: io sono ossessionata dalle ripetizioni, controllo sempre che non vengano ripetute le parole, eppure mi sfuggono.

Questo, quanto l’intellettualità degli esperti mi dice.
E l’editore?
Che dice l’editore?
Ma poverino… ci prova a diventare un grande, si arrampica in tutti modi alla parete rocciosa senza appigli, liscia come la pelle d’una bella femmina, giovane e soda.
Mi fa tenerezza.
Scommetto che la notte sogna di trovarsi sul tavolo la rivelazione letterale del secolo e, con l’anima sua scritta nelle parole, di farci un botto di soldi, ma al mattino si sveglia e s’accorge che deve passare l’unico autore decente della sua scuderia alla casa editrice di maggiore potenza, per offrirgli il godimento del grande mercato, del grande pubblico, e lui si consola al pensiero d’averlo scoperto, restando stretto stretto nei panni talent scout.
Eh eh... cara ripeti le parole?
Non farlo, che non piace alla cultura.
A me si… e continuerò a farlo… tanto non mi legge nessuno… che mi frega?
Se non sono un talento, se non mi rendono visibile sulla carta che mi importa di scrivere male?
Cavolo ho un privilegio, nessuno mai potrà accendere il fuoco del camino con le mie parole.
A questo punto se fossimo in chat chiuderei la frase con un sorriso, due punti, meno, chiusa parentesi tonda.
Grande cosa il web.
E’ la libertà dei poveracci come me.
Ti compri uno spazio web, ci strutturi un sito, e via che è una bellezza buttarci dentro ogni stronzata che hai pensato e scritto.

L’intellettuale di ieri era carina, dolce, garbata garbata, ma dalla voce si sentiva tutta la forza di una anima agguerrita, anche un tantinello spocchiosa.

Sai cosa mi diceva la sua voce senza parole?
Cacchio, stupidelli, pensate che per scrivere un libro basta svegliarsi una mattina e mettere giù quattro fesserie?
Dovete leggere, studiare, ricercare, morirvi di fame, avere una vita disgraziata, lavorare di giorno e scrivere di notte e, mentre lo diceva, mi veniva da ridere dentro.

Mia cara, le avrei detto: la maggior parte delle persone che sono sedute qui ad illudersi d’essere bravo scrittore per un compitino di tre pagine svolto decentemente, ha una vita semplice e complicata, ricca di sudore e fatica, costellata di rinunce e sofferenze che state sfruttando, tu, per vendere il tuo libricino e reclutare studenti per i tuoi corsi di scrittura e, l’editore, per recuperare i soldi della stampa del libro, vendendo copie ai trecento e passa disgraziati che, per darsi onore d’autori, ne comprano una decina di copie a testa.
Almeno lui ci ha provato a giustificarsi, spiegando ad uno ad uno gli anelli della catena che lo rende prigioniero.
Le preferenze dei lettori, gli obblighi dettati dai librai, le lettere di presentazione di autorevoli critici, gli appoggi pubblicitari di tv e giornali… etc.
Insomma, ormai non conta ciò che scrivi, ma chi ti accredita e appoggia, garantendo la tua vendita.

Scusa, quanti anni hai?
Più di quaranta?
Sei vecchio!

Qui ci vuole carne fresca.

Hai diciassette, venti anni?
Cazzo, con te posso fare il pigmaglione.
Ti prendo sotto la mia ala protettiva e ti sbatto sui tavoli di tutti gli editori che conosco e pure su quelli che non conosco.

Ed anche qui chiuderei la frase come in chat, due punti, meno, chiusa parentesi tonda.

- Che cosa fantastica costruire personaggi.-

Ma ne sei certa cara?
Io lo trovo deprimente.
Mettersi per ore ed ore a descrivere i tratti, i colori, le abitudini della persona fisica, raccontarne i movimenti in un luogo piuttosto che un altro.
La terra è terra, le case son case, gli arredi sono arredi… è uno sciupio d’alberi consumare fogli e fogli in questa narrazione.
Meglio sprecarli per l’interiorità del personaggio, dirne i pensieri, tanto son fatti anche di realtà, e si barcamenano tra il vissuto ed il desiderato.
Ma è inutile che mi consumi anche io nel tentativo di spiegarmi, tanto non ci capiremo mai.

In effetti la vera storia di un uomo è quello che gli vive dentro, il fuori è solo il contenitore di miliardi di pensieri.
Dovrei dar retta a mia figlia.

- Devi aiutarmi mamma, devo scrivere la conclusione ad una relazione.-

Ma dai, che ne so io di ste cose?

- Leggi, leggi gli appunti.-

Ma mi pare di scrivere il nulla del niente.

- E’ così mamma, devi esercitarti, devi imparare a raccontare l’insignificante di un vuoto, riempirlo di significati che in realtà non ha. Mamma… menti! -

Non so scrivere tesoro mio.

Gli direi: io amo la verità, la brevità, l’immediatezza; amo i pensieri dell’uomo, i sentimenti, quella gravità della vita che lievita leggera e sale fino al cielo scendendo i gradini dell’anima.
Si chiama poesia la mia scrittura... e sono io!
Pubblicato: domenica 3 luglio 2011
Alle ore: 08:17:59
27 giugno
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