Prose

Io e te
(1) Il viaggio
Le mie stanze
(41) Assenze d'esistenza
Raccolta: Le mie stanze
Farneticazioni
E' possibile farlo, basta muovere le dita sulla tastiera a ritmo del pensiero... anzi senza pensiero.
Pigiare tasti e vedere le parole formarsi davanti agli occhi prive della loro coscienza mentale.
Si, si può fare, perché lo sto facendo.
Che importanza può avere un titolo, una idea, un costrutto dell'esperienza, una conoscenza, o anche una didascalia di eventi e tesi da rappresentare: non servono.
Scrivere è più facile che pensare.
Poco sforzo, non si ha bisogno più neanche di penna e fogli, niente.
Ma quale macchina da scrivere e tic tac e friccchhhhhh d'interlinea, basta, superati anche quelli.
Non c'è freno.
Anche la macroscopica paura di non avere nulla da dire al prossimo può rappresentare un limite.
In tanti hanno macchiato pagine di insensatezze, di fantasie senza capo e coda; in troppi hanno preso posizione in bella vista tra gli scaffali del mondo senza poter cambiare di una virgola il suo andare allo scatafascio... e pensare che di interpunzioni ne hanno sprecate a josa.
Dovrei preoccuparmi d'avere una bella storia da raccontare?
O magari una indiscutibile verità da insegnare?
Machissene...
Non ho nulla da dire e voglio vederlo scritto su questa pagina illimitata.

Vagare, gironzolare, andare senza ragioni e regole nella fitta vegetazione delle parole, per scoprire e meravigliarsi di quanto è possibile creare con solo ventuno simboli.
Sconvolgente, è qualcosa di strabiliante.
Ti si spalanca nel cranio una emozionante congettura: la nullità mastodontica e ripetitiva della parola fine a se stessa, come un simulacro vuoto del cadavere, o meglio come un mare senza acqua.
E' spaventoso vederla lì, sfacciatamente pulita, ma senza sentimento, spoglia di sapienza, ignara di conoscenza, è inguardabile, non la si può leggere defraudata dei suoi significati... ma che dico... ma quali suoi: sono miei i significati, appartengono alle umanità i sensi e le ragioni in simboli delle parole, sono gli uomini la loro intrinseca identità.
Abbiamo imparato a segnare il mondo dei nostri pensieri, lo abbiamo invaso di sentimenti intimi, graffiandolo di verità e bugie.
Gli abbiamo raccontato e narrato storie e favole, mettendogli la maschera che abbiamo voluto, così come ci è piaciuto fare, come altri ci hanno consentito di fare... come è stato obbligatorio fare.
Uomini e donne nelle parole.
Libri e libri dove siamo nati e morti, dove ci siamo creati e distrutti nei sogni e negli ideali, pagine e pagine dove ci siamo fatti scienziati e poeti, dove ci siamo divertiti di barzellette e afflitti di tragedie, tesori dove abbiamo conosciuto ed abbandonata la fede.


E' una familiarità quella visione di bianco che ti sfolgora lo sguardo dove si stagliano linee rette di nero arzigogolato.
Piccole visioni monocolore che risaltano il ricamo del pensiero umano racchiuso nelle forme.
Se non ti impegni a comprenderne il significato puoi azzardarne il paragone con un disegno, e se non muovi le labbra all'interpretazione del disegno non ne puoi conoscere il suono che emanano.
Ecco cosa è lo scrivere: il disegno del pensiero... il suo suono.
Solo se lo azzardi questo scrivere puoi vederti e sentirti. Non farlo è il silenzio dell'umanità, l'oblio di ogni singola identità.
E' trascorso troppo tempo di silenzi.
Ho posato lo sguardo sui colori ed ho smarrito il vedere ed il sentire del bianco e del nero.
Non ho più confidenza con le linee rette del pensiero umano e le orecchie faticano ad ascoltarne il suono.
Eppure è tanto amabile questa sensazione di attenzione a me stessa mentre guardo un foglio sconfinato e candido che parla di me senza di me attraverso le dita.
E' pacifico questo vuoto che attende di riempirsi di qualcosa che ho dentro e che io stessa non odo nei pensieri. Ci sono, ne sono certa.
Da qualche parte dentro me io esisto.
Che mi sia smarrita nelle mille vie percorse per crescere, oppure nascosta nei tanti angoli bui delle case dove ho portato a compimento il dovere di vivere, o magari mi sono addormentata davanti al mare in uno di quei giorni delle lunghe estati in cui descrivevo le ore di poesia... e sono ancora lì, ad attendere che lei stessa venga a svegliarmi.

Un interrogativo privo di domande possiede il sonno di questa bella addormentata nell'anima.
E' possibile che tutta la vita umana del mondo si sia addormentata come me?
Si, lo credo possibile!
Questi nostri scrigni si sono chiusi a proteggersi da quel vivere che ci ha liso le speranze, che ha strappato le gioie dei sentimenti e dei sensi.
Si, deve essere per forza così!
Ce lo siamo detti senza dircelo, lo abbiamo pensato senza pensare che è inutile sentirci e sentire, vederci e vedere... che è troppo infame e dolorosa la realtà di queste nostre esperienze umane, che non ce la possiamo fare ad accettarci per come siamo, per quello che facciamo a noi e al nostro prossimo, alla vita del pianeta che ci ospita e sostenta.
Per questo è più facile acquietare l'anima davanti al mare, o sotto le folte fronde di un albero, o anche soltanto dedicando lo sguardo al cielo respirando piano a quel sole che ci scalda i giorni, a quella luna che ci illumina le notti, per soffiargli nel profondo quel pensiero che non ha parole per esprimersi, che non sa dire più a nessuno, neanche a Dio, che abbiamo insudiciato il passato e ucciso il futuro, ed ora abbiamo paura, ora abbiamo solo tanta paura, perché abbiamo compreso che non sappiamo vivere in paradiso.

Un giorno, qualche tempo fa, il mio Maestro mi disse: “Non si scrive mai con le ombre, mai!”.
Non mi spiegò altro, né aggiunse un perché.
Faceva sempre così, lanciava nella mia mente frasi brevi e sibilline, e poi mi lasciava il compito di scomporle, di analizzarle con i miei modi ed i miei tempi, ed io ci dovevo mettere tutto quello che ero, cuore, mente, anima, esperienza e sensi, mi ci dovevo rotolare dentro a quella frase, come se le parole fossero cocci di vetro sui quali far sanguinare tutte le certezze e le convinzioni, tutte le paure e i dubbi.
Ci ho passato mesi ed anni, ed ancora mi ci distruggo e ricostruisco su quelle brevi, minuscole, incisive asserzioni del mio unico e solo Maestro di vita.
Aveva ragione, non si scrive mai quando calano le ombre della notte, perché i pensieri si oscurano, il corpo è segnato dalle stanchezze e dai dolori attraversati durante il giorno, le speranze si sono consumate di fatiche nelle delusioni del mondo... ed allora è vero che, se ti metti seduto davanti ad un foglio, la mano è in grado di disegnare soltanto le parole prive di luce e cariche di ombre.

Glielo avrei detto, se solo avessi avuto un poco di coraggio: “Ma, Maestro, io non posso farlo di giorno, la realtà che vivo me lo impedisce.
Ho tante cose da fare... il lavoro, la famiglia e tutti i casini da risolvere che mi porto addosso, quelli miei, quelli delle persone che amo, quelli della comunità in cui vivo, quelli del mondo... non posso farlo sotto i raggi del sole Maestro... solo la notte si fa derubare del suo tempo, solo la notte mi rimette nella libertà della vita, solo di notte la società mi restituisce alla mia identità”.
Non ho avuto coraggio, e mi sono rimaste dentro mute, senza suono queste parole, però posso dargli un colore.
E' possibile che solo a distanza da se stessi e dalle proprie emozioni si abbia la capacità di ascoltarsi privi di condizionamenti e pregiudizi, gli stessi che di solito viziano e minano i rapporti interpersonali che intercorrono tra noi e gli altri che ci circondano.
Ascoltarsi come se fossimo estranei a noi stessi.
Accoglierci, raccoglierci un pezzettino per volta e rileggerci, risentirci in lontananza dai tempi e dalle emozioni, dalle esperienze e dalle convinzioni che ci hanno guidato nei pensieri e nelle opere del passato, per comprenderci senza fraitendimenti.
Posso dirglielo ora Maestro?
Ora che non ha più orecchie per ascoltarmi, né occhi per guardarmi, né labbra per sorridermi... Posso dirle che finalmente ho capito?
Prendere le distanze da ogni cosa, persino da se stessi, non prendere sul serio nulla che non faccia parte dell'immutabile eternità.
Questo è l'atteggiamento giusto di chi vuole dirsi ed essere “uomo libero”.
Il tempo ha fatto pulizia.
Ora vi è luce anche nell'oscurità, e le ombre, che di me scorgeva, mi sono lontane, perché ho tracciato passi di distanza.
Vi è così poco di immutabile eternità nel mondo che, a pensarci bene, agli uomini è dato più tempo per viversi senza illusioni, semplicemente... e dove si va si va, come si va si va, dove s'arriva s'arriva.
La ritrovo anche in queste piccole grafie, nella linea retta del pensiero che ora sto disegnando, la semplicità.
Se ne avvede anche lei Maestro?
Non vi è più rima, né ermetismo, né frammentazione, né verbosità.
Anche loro rasentano le increspature di un mare immenso, profondo e nero restando in superficie... un poco più su, più in alto delle rocce taglienti delle miserie umane.
Pubblicato: sabato 21 febbraio 2015
Alle ore: 13:40:03
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